Una famosa citazione di Gianni Rodari recita:
Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa.
Se ci fermiamo a riflettere non è una frase semplicemente buttata lì, ma è una verità molto profonda e fondamentale.
Tutti impariamo dagli errori e dai tentativi, sia uomini che animali, ma la grande differenza dipende dalla capacità di analizzare l’errore e imparare come correggere il tiro. Tuttavia quando si pensa ad un errore, non pensiamo di certo a un patrimonio dell’umanità come la Torre Pendente di Pisa, ma al contrario, ci viene a mente una macchia, un segno rosso di correzione, un rimprovero, una sconfitta, in altre parole l’errore ha una connotazione assai negativa.
La conoscenza, figlia dell’errore
L’apprendimento è strettamente legato all’errore e ai tentativi. Per esempio quando si impara a camminare, si va per tentativi. Quando si comincia a parlare, si fanno errori di pronuncia. Come recita il detto, sbagliando s’impara.
Addirittura i progressi della scienza dipendono dall’imparare dagli errori. Secondo l’astrofisico Luca Perri, in un’intervista, indica che l’errore non è una debolezza, ma parte integrante del progresso scientifico. Anche la scienza impara sbagliando e aggiunge che la scienza si affina sbaglio dopo sbaglio.
Il metodo scientifico richiede l’elaborazione delle teorie o delle ipotesi e saranno proprio gli errori che porteranno lo scienziato ha vagliare le varie idee e, infine, a dimostrare il fatto scientifico. Ecco perché Luca Perri definisce così un grande scienziato:
“Non è colui che non sbaglia mai, ma colui che è disposto a mettere in discussione le proprie convinzioni di fronte all’evidenza scientifica.”
Quindi l’errore può essere visto anche da una prospettiva diversa: il punto di partenza per la crescita e il successo.
La didattica e l’errore
Nell’ultimo articolo che parlava dell’impotenza appresa abbiamo accennato al concetto dell’errore. La relazione tra didattica e errore è stata introdotta prima da Karl Popper e in seguito sviluppata da Henry Perkinson negli anni 70. Questo pensiero filosofico spiega che l’errore permette di creare un percorso di costruzione della conoscenza, come dimostrato dalla scienza.
Spostando la sua applicazione all’ambito dell’insegnamento, Perkinson suggerisce che l’errore non sia più un ostacolo al sapere, ma uno stimolo verso il progresso. Grazie all’interpretazione dell’errore si rende possibile capire gli alunni, nel loro modo di apprendere, nel loro modo di rapportarsi alla realtà e sullo stato delle loro conoscenze.
Capire come apprendere
Ho trovato molto interessante questa riflessione, perché la dislessia e gli altri DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) come già menzionato non sono un ritardo mentale, ma un modo diverso di apprendere. Nella pratica questa modalità diversa di apprendimento emerge proprio con l’errore.
Un dislessico farà errori di lettura, il disortografico errori di scrittura e il discalculico errori di calcolo. La difficoltà alla quale siamo confrontati, sia come genitori che come insegnanti, è che non comprendiamo effettivamente questa modalità di apprendimento. Per noi rimane, non credo di esagerare, praticamente un mistero. Il bambino è intelligente, ma sbaglia in cose che per noi sembrano così ovvie e semplici. Ecco perché trovo interessante il concetto enunciato da Popper e Perkinson, ossia l’errore come stimolo per capire lo studente.
Purtroppo la difficoltà essendo persistente, rende l’errore spesso vissuto come inevitabile e non solo dal bambino, ma anche dai grandi. In un certo senso si abbassano le braccia. Il bambino si ritrova ad annaspare, cercando di stare al passo con gli altri, ma sempre con molta fatica, sofferenza e frustrazione. Così come i genitori che non sanno come correggere la situazione sentendosi spesso inadeguati; sentimenti che rendono difficili e tesi i rapporti con la scuola. Invece la difficoltà dovrebbe essere analizzata un po’ con l’occhio dello scienziato che vuole capire un fenomeno. In questo preciso caso, quello di capire la modalità di apprendimento dello studente. L’obiettivo è quello di permettergli di sfruttare la sua personale forma di apprendimento per imparare e usare appieno la conoscenza che gli viene insegnata a scuola.
Metacognizione e strumenti compensativi
Quest’analisi dell’errore in relazione con i propri apprendimenti rientra nella metacognizione. A livello pratico credo che nei primi anni delle elementari quando cominciano ad emergere i vari DSA non sia certo possibile parlare di metacognizione. I bambini sono ancora piccoli.
Tuttavia per favorire un clima che porti ad un’analisi costruttiva, ovvero la metacognizione, un regolare feedback equilibrato ed oggettivo dell’insegnante che puntualizzi sì l’errore, ma anche gli aspetti positivi del lavoro svolto, per esempio con note a margine di apprezzamento, come “concetto espresso bene” o altre espressioni di questo tipo, permette al bambino di avere una veduta dell’esaminatore equilibrata. Quest’ultimo non cerca con attenzione lo sbaglio, ma ha lo scopo di valutare in modo obiettivo il lavoro. Già dalla terza elementare, gli insegnanti aiutano gli alunni a riflettere sul proprio lavoro. Quindi il bambino viene accompagnato nello sviluppare le capacità metacognitive.
Comunque, quando sono confrontati con uno o più DSA, i bambini sono portati da subito, anche piccoli, a fare delle valutazioni del proprio lavoro, ma ovviamente non sono in grado da soli di capire come migliorare il loro modo di apprendere. Di solito la loro analisi si ferma nel prendere atto dell’incapacità. Non riescono a capire il perché del problema e cosa si può fare al riguardo. Ecco perché già da subito, gli adulti, quindi genitori e insegnanti, dovrebbero prendere il tempo per fare concretamente una riflessione sulla difficoltà che comporta il DSA insieme al bambino e ricercare insieme delle strategie giuste da adottare. Questo implica non solo quali strumenti compensativi adottare, ma anche come usarli in maniera efficace.
Una squadra per vincere
Sotto questo aspetto è ottimale la stretta collaborazione, non solo tra genitori e insegnanti, ma anche con lo psicologo. Infatti, per trovare strategie efficaci in questo caso specifico, ci vuole una competenza specifica.
Per vincere, un pilota di Formula1 deve conoscere bene la sua macchina. Non stiamo parlando dell’aspetto esteriore, ma deve conoscere bene le caratteristiche tecniche e non solo del motore, ma anche delle gomme, dei freni, ecc.. A questo scopo il suo team conta ingegneri specializzati.
Nel momento della gara a fare la differenza tra tutti i piloti, tra l’altro tutti bravissimi, spesso è il sapere sfruttare proprio quelle caratteristiche al momento giusto. Ovviamente non è facile, perché non sfruttarle comporta il rischio di perdere la gara, oltrepassare i limiti della macchina porterebbe al disastro.
La dislessia è un disturbo neurobiologico, “l’ingegnere” che ci può affiancare è il neuropsichiatra, che accosta la sua conoscenza delle neuroscienze con la psicologia didattica. A scuola i nostri ragazzi sono sempre sotto stress come il pilota durante la gara. Se formiamo intorno a loro un team che li affianca e li aiuta a capire le potenzialità enormi della loro mente, vedranno come lo studio e l’apprendimento possono dare soddisfazioni e successo e non soltanto sofferenza e frustrazione.
Stiamo lavorando per creare proprio un gruppo di questo tipo. Iscriviti alla newsletter per rimanere informato degli sviluppi e vieni a far parte di questo team che lavora insieme per vincere tutte le sfide che presentano i Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Fonte: intervista Luca Perri
Foto: schmidmatthieu e José Antonio Mercado da Pixabay